Friday, March 12, 2010

Nigeria, il massacro infinito tra cristiani e musulmani (di Guido Rampoldi)

KURU KARAMA (NIGERIA CENTRALE) - Per ammazzare con quella frenesia dovevano avere nella testa molto koskovo, il gin locale, piuttosto che le incitazioni allo sterminio rivolte al suo popolo dal Dio dell'Antico Testamento: "Uccidi uomini e donne, bambini e neonati". Ma hanno macellato i musulmani del villaggio proprio in quel modo.
E quando adesso ascolti i ragazzini raccontarti come i cristiani adempivano con i machete al comandamento del Signore degli Eserciti - "Voi inseguirete i vostri nemici ed essi cadranno davanti a voi trafitti dalla spada", quando ti rendi conto che tra le rovine bruciate l'unico edificio intatto è il tempio dei pentecostali, devi domandarti se chi ha ordinato questa strage non legga la Bibbia esattamente come, nel campo avverso, alcuni islamisti leggono il Corano. E cioè come una teologia del terrorismo particolarmente utile per annientare gruppi umani rivali, depredare, sottomettere, e poi spacciare quei crimini per eroici atti di fede.

Lo scontro antico che dall'Africa alle Molucche sta ritrovando nelle religioni pretesti, ispirazioni e complici, in Nigeria centrale obbedisce ad una simmetria radicale: musulmani e cristiani fanno fuori interi villaggi. Grosse bande attaccano di sorpresa insediamenti isolati e non risparmiano nessuno, neppure i bambini. L'altra notte una masnada di musulmani ha massacrato i cristiani di Doko Nahawee, ammazzandone forse cinquecento. Cinque settimane prima, il 26 gennaio, era stata cancellata dalle mappe Kuru Karama. Dei tremila abitanti, i cristiani ne hanno sterminati almeno centocinquanta, quelli troppo vecchi o troppo giovani per scappare, e quelli decisi a difendere le loro cose. Tra le casette di terra rappresa, nessuna delle quali conserva la lamiera che fungeva da tetto, incontro quattro soldati depressi e tre scolari sedicenni venuti a cercare i quaderni che tenevano vicino al letto.

I soldati hanno tappato con la terra due pozzi in cui gli attaccanti avevano gettato gli uccisi: troppi cadaveri, spiegano, e non sapevano come tirarli fuori. I ragazzini appartenevano ad una classe che è stata decimata dai machete quando ha cercato di scappare attraverso il cerchio degli assedianti. Mentre ne raccontano non trovano le parole, e hanno gli occhi sgranati, non so se per paura, orrore o incredulità.

Nessuno di loro, dicono, si attendeva l'attacco. Non è difficile crederlo. Kuru Karama è uno dei tanti insediamenti dell'etnia Hausa nello Stato del Plateau, villaggi dove trovi una piccola moschea accanto ad un minuscolo tempio cristiano, e botteghe che espongono appaiati poster di Cristo dal cuore palpitante e ragazze in estasi coranica. Intorno, una terra che non può suscitare appetiti - campi riarsi, una boscaglia rada sparpagliata sopra una landa polverosa. Ma Kuru Karama ha una particolarità: è interamente circondata dai villaggi dell'etnia cristiana, i Birom, che nel Plateau esprime il potere. Questo gli è stato fatale.

Se invece risaliamo la concatenazione delle causalità, il destino si presenta nella forma insospettabile di una legge in teoria molto democratica. Per salvare dall'assimilazione le più piccole tra le 250 etnie nigeriane, ciascuno dei 36 governi che formano la federazione attribuisce lo status di "popolazione indigena" alle tribù considerate autoctone, e con lo status accessi privilegiati all'istruzione e all'amministrazione pubblica, cioè all'unica possibilità di trovare un impiego decente. Gli Hausa sono nel Plateau dalla metà dell'Ottocento, ma il governo locale, egemonizzato dai Birom, non li considera "indigeni". Dal 2001 questa discriminazione è la causa delle loro rivolte furiose, e della reazione altrettanto brutale dei Birom.

Ogni volta più violento, lo scontro comincia a sovrapporsi ad una linea di faglia che attraversa la Nigeria dalla sua origine coloniale. Il Paese fu inventato dai britannici nel 1914 assemblando incongruamente il nord musulmano e il sud cristiano. Dopo la fine della dittatura militare (1999) dodici Stati del nord, invogliati da donazione saudite, hanno deciso di applicare la sharia ai loro cittadini, sia pure su basa volontaria. Ma uno dei dodici ci ha ripensato e gli altri non applicano la legge coranica nella parte sostanziosa. Però i gruppi dominanti (musulmani) si sentono autorizzati a rinforzare i pretesti con i quali si spartiscono gli impieghi statali. Nelle università, docenti cristiani si vedono negare cattedre, nelle scuole diminuiscono gli insegnanti non islamici. A loro volta alcune oligarchie cristiane della Nigeria centrale hanno cominciato a praticare la discriminante religiosa per tenere a bada etnie "non indigene" a maggioranza musulmana, come gli Hausa, che rivendicano i propri diritti. E poiché questa divaricazione ora attraversa anche gli apparati di sicurezza, sta diventando pericolosa per un Paese che fatica a trovare una comune ragione sociale, se non nei colossali proventi del petrolio.

Questi conflitti non potrebbero ricorrere alla maschera della religione se i cleri si opponessero. In questa regione, un frangiflutti di etnie e credi, hanno formato un comitato inter-religioso che si riunisce nella città di Jos per prevenire tensioni. I partecipanti si conoscono dal tempo delle elementari ma, mi confida uno di loro, dubitano tutti nello stesso modo della sincerità di quel che viene detto. E con ragione: infatti gli uni e gli altri mantengono un omertoso riserbo sulle malefatte delle bande giovanili cristiane e musulmane. Queste gang sono ispirate da due politici rivali, eminenze dello stesso partito: il governatore cristiano, un ex generale dell'aviazione di etnia Birom; e un ex ministro musulmano, di etnia Hausa.

Quest'ultimo avrebbe organizzato le violente dimostrazioni di gennaio, inizio dei tumulti. Motivo o pretesto: i cristiani avrebbero impedito la ricostruzione di una casa di musulmani, distrutta a Jos negli scontri di due anni fa. I musulmani hanno reagito con roghi di case cristiane e attacchi alle chiese, il 24 gennaio, una domenica. In ogni caso, a sera la rivolta era finita, stroncata dall'esercito nel solito modo: sparando ad altezza d'uomo sui dimostranti. Però i cristiani avevano subito vittime, anche se in numero minore dei musulmani, e l'oligarchia dei Birom voleva dare una lezione agli Hausa. Nelle ore successive la tv di Stato, diretta da un pastore pentecostale, ha mandato in onda a ciclo continuo notiziari eccitati, culminati il 26 in un editoriale che secondo i musulmani suonava come un appello al massacro. "Era tutto pianificato, possiamo provarlo", mi dice Sani Mudi, il portavoce della comunità musulmana nel Plateau, mostrandomi la pila di carte alta due palmi che questa settimana consegnerà alla Corte penale internazionale, a L'Aja.

Di sicuro gli stermini del Plateau non sono spontanei. Non lo è stato il massacro di Kuru Karama, anche se tra gli esecutori c'erano giovani Birom dei villaggi limitrofi. "Ne ho riconosciuti diversi", racconta Samir Abubakar, un commerciante di frutta che trovo tra le rovine. Quando è cominciata la caccia al musulmano, tra le case e nella campagna, è scappato nel panico, abbandonando i suoi familiari. Ha ritrovato la moglie in ospedale (la foto che ha nel telefonino la mostra con le braccia ingessate, per le tre fratture prodotte da altrettanti colpi di machete). Invece non ha più notizie della madre, probabilmente bruciata dentro la moschea, viva o già morta, e poi gettata in fondo ad un pozzo.

Quando i Birom che avevano circondato il villaggio hanno cominciato ad avanzare, uno dei tre pastori cristiani presenti quel giorno nel villaggio ha cercato di fermarli. Ma è stato picchiato e legato ad un albero, mi confermano gli studenti. Gli altri due se la sono filata. Si può assolvere la loro fuga, non il silenzio dei religiosi musulmani e cristiani. Con l'unica eccezione di monsignor John Onayekam, l'arcivescovo cattolico, pastori evangelici e mullah tacciono oppure si nascondono dietro dichiarazioni vaghe. Fingono di non sapere. Kuru Karama è a mezz'ora di macchina ma il massacro non suscita curiosità nel reverendo Caleb Ahima, segretario generale della Chiese pentecostali. Quando gliene domando risponde così: "Le crisi mettono in luce i limiti della condizione umana". Ben detto, ma chi è stato? "Non sappiamo, c'è in giro molta maligna propaganda". Ma chi è stato? "Io non sostengo le uccisioni illegittime". Il massimo che gli si può cavare è un "non escludo che alcuni cristiani...".

Poi il reverendo Ahima mi rivela che all'origine di tutto c'è l'ossessione piantata nella testa dei musulmani: concludere la guerra santa che i loro avi fallirono oltre un secolo fa e "bagnare il Corano nell'oceano", cioè impossessari dell'intera Nigeria. E ora tutto è più chiaro. Ai suoi occhi gli Hausa di Kuru Karama erano un avamposto dell'avanzata islamica verso la costa. Comprensibile che il loro sterminio non lo colpisca più di quanto l'ammazzamento di cristiani (non) impressioni tanti mullah, a loro volta convinti che i cristiani cospirino contro l'islam.

Quando il gregge si trasforma in branco di lupi, spesso i pastori lo assecondano. Gli trovano giustificazioni. E si tappano le orecchie per non udire le grida degli scannati. C'è anche un clero che si oppone e reagisce, non di rado in solitudine. Ma la tendenza generale oggi non sembra quella. Lì dove musulmani e cristiani coabitano da secoli, lo spirito del tempo sembra semmai soffiare nelle vele della religiosità più aspra, più sanguigna, più militante. Come altrove in Asia e in Africa, anche in Nigeria ne profitta tanto l'estremismo islamico quanto il cristianesimo dei pentecostali, un credo che ha conosciuto un boom spettacolare nell'ultimo secolo, al punto che oggi rappresenterebbe, per numero di fedeli, la seconda fede cristiana dopo il cattolicesimo. Qui noti anche come formidabili guaritori di indemoniati, i pastori pentecostali hanno una predisposizione per la prima linea, non a caso la loro casa madre è nella tumultuosa città di Jos, e una venerazione per la Parola sacra, nella quale non è difficile imbattersi nel Dio degli Eserciti, quello che non fa sconti. L'estremismo islamico lo frequenta da tempo, e infatti neppure in Nigeria distingue tra adulti e bambini quando massacra.

Musulmani o cristiani, gli assassini e i mandanti delle stragi occorse a Jos nel 2001, 2004, 2008 e nel gennaio 2010, sono tutti liberi. La polizia non li cerca. I suoi posti di blocco all'ingresso di Jos, una dozzina, la settimana scorsa sembravano soprattutto un'occasione offerta agli ufficiali per depredare automobilisti. Non era difficile immaginare che gli sterminatori sarebbero presto tornati a sacrificare villaggi al loro dio. (Guido Rampoldi - La Repubblica, 8 marzo 2010)