Friday, November 27, 2009

Immigrati, appello del Papa: "Hanno diritti inalienabili"


Il Vaticano esprime "dolore" e "tristezza" per l'operazione "White Christmas" nel comune di Coccaglio

CITTA' DEL VATICANO - "Il migrante è una persona umana con diritti fondamentali inalienabili da rispettare sempre e da tutti". Questo il senso dell'intervento di Benedetto XVI, in riferimento alla Giornata del Migrante e del Rifugiato prevista per il 17 gennaio prossimo. Il Papa ha sottolineato l'importanza di prendersi cura dei migranti e dei rifugiati minorenni, ricordando che anche Gesù, da bambino, ha vissuto sulla propria pelle l'esperienza della migrazione. Anche per questo, ha proseguito il Pontefice, "ai figli degli immigrati deve essere data la possibilità di frequentare la scuola e inserirsi nel mondo del lavoro". Tenendo presente, poi, che "un minore non accompagnato non può essere rimpatriato".

"Auspico di cuore che si riservi la giusta attenzione ai migranti minorenni, bisognosi di un ambiente sociale che consenta e favorisca il loro sviluppo fisico, culturale, spirituale e morale", ha detto il Papa. Mentre il presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti, mons. Antonio Maria Veglio, ha ricordato che molto spesso i diritti dei più piccoli non vengono rispettati. Uno su tutti, quello per cui un "minore non accompagnato non può essere rimpatriato": a stabilirlo, sono norme internazionali.

La Giornata del Migrante 2010 sarà dedicata proprio a loro, i bambini, con il titolo "I migranti e i rifugiati minorenni". Si tratta, ha spiegato il Pontefice, di "un aspetto che i cristiani valutano con grande attenzione, memori del monito di Cristo, il quale nel giudizio finale considererà riferito a Lui stesso tutto ciò che è stato fatto o negato ai più piccoli". "E - ha chiesto Papa Ratzinger - come non considerare tra i più piccoli anche i minori migranti e rifugiati? Gesù stesso - ha proseguito - ha vissuto da bambino l'esperienza del migrante perchè, come narra il Vangelo, per sfuggire alle minacce di Erode dovette rifugiarsi in Egitto insieme a Giuseppe e Maria".

Il Vaticano ha inoltre espresso "tristezza" e "dolore" per la cosiddetta operazione "White Christmas", Bianco Natale, con cui l'amministrazione leghista di Coccaglio (nel bresciano) ha deciso di espellere gli extracomunitari prima dell'arrivo del Natale. "Il Bianco Natale è una canzone sulla neve, è molto triste quel che si legge", ha affermato mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale di migranti e degli itineranti. "E' una vicenda dolorosa", ha proseguito mons. Agostino Marchetto, segretario del dicastero. "Il Natale celebra il mistero dell'annunciazione alla Vergine e chiama all'accoglienza di Gesù bambino. Anche Lui, come ha detto il Papa nel suo messaggio, era un rifugiato in Egitto".

Gli esponenti del Consiglio Pontificio per la pastorale dei migranti si sono inoltre soffermati sulle ragioni che spesso condannano i minorenni alla clandestinità, come ad esempio "la difficoltà, o talvolta l'impossibilità, di accedere al paese di destinazione desiderato". "Ciò spinge - ha spiegato mons. Vegliò - i minorenni e le famiglie a tentare l'immigrazione irregolare. In questi casi, i genitori pongono tutte le loro speranze nella riuscita del minore che emigra, il quale è pronto a subire ingiustizie, violenze e maltrattamenti pur di ottenere un permesso di soggiorno, forse una formazione scolastica, soprattutto un lavoro per poter aiutare la famiglia". Tutto questo, ha commentato l'arcivescovo Marchetto, "spesso non viene capito dai membri della società civile, che agiscono e reagiscono secondo stereotipi, preconcetti e pregiudizi all'arrivo dei rifugiati". "Perciò - ha concluso - i comportamenti di discriminazione, xenofobia e razzismo vanno affrontati con politiche atte a salvaguardare, rinforare e proteggere i diritti dei rifugiati e degli sfollati". (La Repubblica, 27 novembre 2009)

Finanziaria, proposta della Lega: "Solo 6 mesi di cig per gli stranieri"


Il Carroccio propone trattamento diverso per gli immigrati in tema di ammortizzatori sociali.
L'opposizione: "Emendamento razzista". Il ministro Carfagna: "Una provocazione"

ROMA - Cassa integrazione limitata per i cittadini extracomunitari che lavorano in Italia. La Lega apre un nuovo fronte di scontro e propone un emendamento che limita a sei mesi gli strumenti di sostegno al reddito. A farsi carico dell'annuncio è il deputato Maurizio Fugatti. Che spiega così l'uscita del Carroccio: "Le risorse sono quelle che sono e prima di tutto dobbiamo guardare ai cittadini italiani. Quindi diamo la cassa integrazione anche ai cittadini extracomunitari ma solo per sei mesi. Se non c'è lavoro per gli italiani, non c'è per nessuno. Prima dobbiamo pensare agli italiani".

Passano pochi minuti e le opposizioni si scatenano. "Quell'emendamento e' palesemente incostituzionale e sono sicura che la presidenza della Camera lo dichiarera' inammissibile - taglia corto la capogruppo del Pd nella commissione Affari costituzionali della Camera, Sesa Amici - Sono norme incivili e razziste del tutte prive di ogni fondamento e ragion d'essere''.
Ancor più duro il senatore democratico Paolo Nerozzi: "La proposta della Lega è una nuova forma di legge razziale nel mondo del lavoro". E l'accusa di razzismo torna anche nelle parole del capogruppo dell'Idv alla Camera, Massimo Donadi. Ma anche dentro il governo crescono le perplessità: "E' una provocazione, che sono certa non avrà alcun seguito in Parlamento" dice il ministro delle Pari opportunità Mara Carfagna. mentre il ministro del Welfare Maurizio Sacconi ricorda come la cig sia un diritto soggettivo di tutti i lavoratori.
Anche il sindacato fa sentire la sua voce: "Una iniziativa xenofoba e una vera e propria sciocchezza giuridica - dice la Cgil - Questi lavoratori pagano come per tutti gli altri i contributi per accedere agli ammortizzatori sociali. Quindi si tratta di un emendamento improponibile a meno che la Lega non pensi che i lavoratori stranieri devono solo versare e difficilmente ricevere il corrispettivo di quanto versato. E' una esplicita istigazione al lavoro nero".
Critica anche la Cisl che, per bocca del segretario Raffele Bonanni bolla l'iniziativa: "I lavoratori immigrati regolari pagano i contributi e le tasse in italia e hanno diritti al pari di tutti i lavoratori italiani".
Parole a cui fa eco l'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano: "Non solo si colpiscono i lavoratori oggettivamente più deboli ma si crea una condizione di rottura del rapporto di lavoro che spingerà inevitabilmente queste persone nel vicolo cieco della clandestinità e del lavoro nero". (La Repubblica, 27 novembre 2009)

Sunday, November 22, 2009

Il "natale bianco" che insulta tutti noi (di Francesca Comencini)


La Lettera a Repubblica di Francesca Comencini, figlia del regista Luigi Comencini, morto nel 2007.

Caro direttore, leggo sui giornali dell'operazione "White Christmas", messa in atto dal sindaco di Coccaglio, che consiste nell'individuare, casa per casa, tutte le persone straniere non in regola e cacciarle, in vista del Natale. La notizia mi colpisce, non solo per l'idea di accoglienza, di cittadinanza e di cristianità che la sottende, ma anche perché Coccaglio è il luogo dove riposano i miei nonni, Cesare Comencini e Mimì Hefti Comencini. Per loro mi sento in obbligo di scrivere questa lettera.

Mia nonna, figlia di una famiglia svizzera tedesca, si innamorò di mio nonno Cesare e per sposarlo dovette combattere contro tutti i pregiudizi di cui gli italiani erano vittime nel suo paese. Gli svizzeri tedeschi non amavano gli italiani, li consideravano sporchi, primitivi, ne avevano paura, al massimo li impiegavano nelle loro fabbriche o per pulire le loro case. Ma mia nonna non cedette, si sposò con il suo Cesare e venne a vivere in Italia. Mio nonno era di origini modeste, ma con molti sacrifici era riuscito a laurearsi in ingegneria. Tuttavia in Italia non riusciva ad assicurare una vita sufficientemente degna a sua moglie, e ai loro due figli che nel frattempo erano nati, mio padre, Luigi, e suo fratello Gianni. Vivevano a Salò, dove gli affari andavano molto male. Un giorno mio nonno decise di emigrare in Francia, aveva sentito che lì si compravano terre a basso prezzo, perché i francesi abbandonavano la campagna, e per ogni due francesi c'era un italiano. Così partirono.

La loro vita in Francia non fu facile, i miei nonni, poco esperti dei lavori agricoli, dovettero imparare tutto. Nel suo libro, "Infanzia, vocazione e prime esperienze di un regista", mio padre racconta: "Ora riesce difficile immaginare com'era la nostra vita nelle campagne del Sud-ovest francese. Non avevamo né luce, né acqua corrente. Ma avevamo il pianoforte. Ogni sera, dopo cena, mio padre sedeva in poltrona, e, cullato dalla musica di mia madre, lentamente sprofondava nel sonno". A scuola, mio padre, che quando arrivò in Francia aveva sei anni, veniva sempre messo da solo all'ultimo banco, e regolarmente chiamato "Macaroni", come in Francia venivano chiamati gli immigrati italiani. Fu mio nonno Cesare a soffrire più di tutti per la lontananza dall'Italia. Mio padre ricorda che si era costruito una radio a galena, che tutte le sere si ostinava a cercare di far funzionare. Quando mio nonno si ammalò iniziò a dire "non voglio morire in Francia, non voglio morire in Francia". Così mia nonna lo riportò a casa, in Italia, da suo fratello, a Coccaglio.

Fu sepolto nel piccolo cimitero di Coccaglio, dove molti anni dopo lo raggiunse mia nonna, che dopo la sua morte era rimasta a vivere in Italia, a Milano. I miei nonni sapevano cos'è lasciare il proprio paese per poter lavorare, cos'è essere stranieri, sapevano cos'è la dignità da salvare, per sé e per i propri figli. Al funerale di mia nonna ricordo che mio padre lesse quel brano del Vangelo secondo Matteo in cui Gesù dice "Ama il prossimo tuo come te stesso". Mia nonna era credente a modo suo, di religione Valdese. Ricordo un giorno, un venerdì santo, era venuta a trovarci a Roma per Pasqua, e io la trovai in camera sua, che piangeva piano e quando le chiesi perché mi rispose, asciugandosi in fretta gli occhi con il fazzoletto che teneva sempre nella manica del suo golfino: "Penso a Gesù, a come doveva sentirsi solo e impaurito nel giardino di Getsemani". I miei nonni riposano nel cimitero di Coccaglio, che non è solo la casa di chi provvisoriamente ne amministra il comune in questi anni, ma è stata anche la loro, e quindi ora è un po' la mia e di tanti altri, che, come me, discendono da chi ha dovuto lasciare l'Italia per lavorare, con fatica, dolore, umiliazione. E sono sicura che i miei nonni, se potessero alzarsi e sorgere dalla memoria, condannerebbero chi ha osato inventare l'operazione "White Christmas". A nome loro, tramite queste righe, lo faccio io.  (La Repubblica, 19 novembre 2009)

Friday, November 20, 2009

Un bianco Natale senza immigrati (di Sandro De Riccardis)


Brescia, il comune leghista di Coccaglio lancia l'operazione "White Christmas". I vigili casa per casa a controllare gli extracomunitari: chi non è in regola perde la residenza. Obiettivo: "Far piazza pulita" dice il sindaco. E l'assessore alla Sicurezza afferma: "Natale non è la festa dell'accoglienza ma della tradizione cristiana"

A Coccaglio la caccia ai clandestini si fa in nome del Natale. L'amministrazione di destra - sindaco e tre assessori leghisti, altri tre Pdl - ha inaugurato nel piccolo comune bresciano l'operazione "White Christmas", come il titolo della canzone di Bing Crosby, usato per ripulire la cittadina dagli extracomunitari.

Un nome scelto proprio perché l'operazione scade il 25 dicembre. E perché, spiega l'ideatore dell'operazione, l'assessore leghista alla Sicurezza Claudio Abiendi "per me il Natale non è la festa dell'accoglienza, ma della tradizione cristiana, della nostra identità". È così che fino al 25 dicembre, a Coccaglio, poco meno di settemila abitanti, mille e 500 stranieri, i vigili vanno casa per casa a suonare il campanello di circa 400 extracomunitari. Quelli che hanno il permesso di soggiorno scaduto da sei mesi e che devono aver avviato le pratiche per il rinnovo. "Se non dimostrano di averlo fatto - dice il sindaco Franco Claretti - la loro residenza viene revocata d'ufficio".
L'idea dell'operazione intitolata al Natale nasce dopo l'approvazione del decreto sicurezza che dà poteri più incisivi al sindaco, che poi chiede ai suoi funzionari di verificare i dati dell'Anagrafe sugli stranieri. Nel paese, in dieci anni, gli extracomunitari sono passati dai 177 del 1998 ai 1562 del 2008, diventando più di un quinto della popolazione. Con marocchini, albanesi e cittadini della ex Jugoslavia tra i più presenti. "Da noi non c'è criminalità - tiene a precisare Claretti - vogliamo soltanto iniziare a fare pulizia".
A Coccaglio fino a giugno e per 36 anni ha governato la sinistra. "È solo propaganda - dice l'ex sindaco Luigi Lotta, centrosinistra - Io ho lasciato un paese unito, senza problemi d'integrazione. L'unico caso di cronaca degli ultimi anni, un accoltellamento tra kosovari, nemmeno residenti da noi, c'è stato sotto la nuova amministrazione".
L'idea di accostare la caccia agli irregolari al Natale, ha provocato le proteste di un pezzo di città. "Io sono credente, ho frequentato il collegio dai Salesiani. Questa gente dov'era domenica scorsa? Io a Brescia dal Papa", replica Abiendi, che si definisce "tra i fondatori della Lega Nord, nel 1992". Poi enumera i risultati dell'operazione "Bianco Natale": "Dal 25 ottobre abbiamo fatto 150 ispezioni. Gli irregolari sono circa il 50% dei controllati". E ora al modello Coccaglio guardano anche i sindaci leghisti dei comuni vicini, due (Castelcovati e Castrezzato) l'hanno già copiato. Lo scorso 24 ottobre, alla prima convention di sindaci leghisti, a Milano, la "White Chistmas" ha avuto l'appoggio convinto dello stato maggiore del partito. "Il ministro Maroni è un uomo pratico - dice ora Claretti - ci ha dato dei consigli per attuare il provvedimento senza incorrere nei soliti ricorsi ai giudici". Sul riferimento al Natale, il sindaco accetta le critiche. "Forse è stato infelice. Ma l'operazione scadrà proprio quel giorno lì". (La Repubblica, 18 novembre 2009)

Ultimo scempio sugli immigrati (di Gad Lerner)


La denuncia di Gad Lerner sugli effetti devastanti che la Legge sui processi brevi avrà sugli immigrati clandestini in Italia

Pur di acquisire il consenso della Lega a un provvedimento di vitale interesse per il loro principale,  i maldestri giuristi di Berlusconi, in spregio al Codice Penale, patrocinano una riforma del processo che modifica profondamente il senso comune di giustizia e lo stesso orizzonte dei valori civili. Di fatto, introducono nel diritto italiano il principio della discriminazione su base etnica e di censo. Come definire altrimenti la scelta di escludere dal beneficio della prescrizione gli imputati di immigrazione clandestina ? Questo prevede il disegno di legge "per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi". Una scelta inequivocabile, come del resto quella di considerare il furto e lo scippo reati più gravi della corruzione.
Esprimendo "indignazione e tristezza", lo denuncia il padre gesuita Giovanni La Manna:"La già insensata fattispecie di reato di immigrazione clandestina, semplice contravvenzione punita con un'ammenda, da oggi viene equiparata ai reati di mafia e terrorismo". Non è un paradosso. Lo straniero irregolare, se approvata la nuova legge, subirà la medesima limitazione di garanzie riservata a presunti mafiosi e terroristi.
La fretta di escogitare un salvacondotto che preservi un singolo potente dal naturale corso della giustizia genera dunque un mostro giuridico. La destra al governo, vincolata dall'allarme sociale che la sua stessa propaganda ha esasperato, agita come un vessillo la fermezza nei confronti della microcriminalità di strada e degli stranieri irregolari, sebbene in realtà oggi stia perseguendo l'impunità dei suoi vertici. Le riesce impossibile coniugare garantismo e populismo. Ridisegna piuttosto un'iniqua mappa dei cittadini meritevoli di essere protetti dalle lungaggini dei tribunali; da privilegiare rispetto agli altri, indegni perchè estranei ai suoi criteri di onorabilità.
E' tipico di un regime plutocratico e demagogico tollerare la corruzione come reato meno grave dello scippo. Confidando sul  fatto che un'anziana cui hanno strappato la borsetta al mercato desideri giustamente la punizione severa del "suo" ladro, rassegnata viceversa all'inevitabile spregiudicatezza di chi sta troppo in alto, intoccabile. Vogliono convincerla che il governante è perseguitato per invidia o fanatismo politico. Come ricompensa, la rassicurano: lo straniero suo vicino di casa resterà perseguibile. C'è un diritto mite per la gente perbene, di cui anche  lei fa parte, e un diritto implacabile per gli estranei.
La colpa originaria del clandestino sia dunque imprescrittible. Egli appartiene a una categoria destinata a restare priva di garanzie. Il principio costituzionale dell'uguaglianza di fronte alla legge non deve riguardarlo. Tale riforma del diritto, che spacca in due la cittadinanza, trova conferma nella norma che privilegia gli incensurati rispetto a coloro che hanno precedenti penali quand'anche siano processati insieme per il medesimo reato: dopo due anni il giudice dovrà prosciogliere l'incensurato, ma non il suo complice recidivo.
La carica ideologica della norma che rende imprescrittibile la condizione di "clandestino" sovrasta i suoi effetti pratici. Sappiamo bene che il reato di immigrazione illegale minaccia l'esistenza di molti stranieri cui è scaduto il permesso di soggiorno - e non solo coloro che varcano di nascosto le nostre frontiere - senza che la salatissima multa eserciti alcuna dissuasione concreta. Ma la regola introdotta su richiesta della Lega - a dispetto dell'equità giuridica e di quanto concordato al vertice del Pdl - sancisce una novità di portata storica. La Legge introdotta di recente, come è noto, punisce con la sola sanzione amministrativa il comportamento di chi si trova in Italia senza permesso. Pochi mesi dopo, a dispetto della norma appena stabilita, ecco che un nuovo disegno di legge ingigantisce la valutazione di gravità del medesimo comportamento fino a prevedere il trattamento giuridico penale.
Un'altra volta, con la consueta prontezza, la Lega approfitta delle difficoltà del premier imponendogli la sua egemonia culturale. Prosegue così la modificazione normativa del sentimento xenofobo, ultimo effetto di una giustizia spaccata in due. (Gad Lerner, La Repubblica, 14 novembre 2009)

Thursday, November 12, 2009

L'autorità del male (di Giorgio Bocca)


Stefano Cucchi, un giovane romano arrestato dai carabinieri in possesso di una quantità di droga sufficiente per farlo considerare uno spacciatore, è morto durante la detenzione. Di certo aveva sul viso e sul corpo il segno di percosse, di certo si sa che polizia e medici non gli hanno prestato le cure necessarie a salvargli la vita.
Secondo il sottosegretario Carlo Giovanardi, costretto poi a scusarsi, "se l'è voluta", come usa dire, prima rovinandosi la salute, poi violando la legge e infine, presumibilmente, offrendosi per il solo fatto di esistere all'ira e alla violenza degli "agenti dell'ordine", che in lui non potevano non vedere un intollerabile disordine.

Giustificati, a delitto avvenuto, da quanti come Giovanardi pensano di essere uomini d'ordine, per aver risposto a una provocazione. Sul caso sono state scritte pagine e pagine di moralità, di doglianze per la mancanza di pietà e di carità, e sull'oscurità che sempre circonda questi rapporti fra le forze dell'ordine e i cittadini. Ma vediamo di parlare del caso Cucchi da un punto di vista sociologico. Un cittadino come Stefano Cucchi rappresenta un pericolo per l'ordine sociale? E perché? Perché si droga e spaccia droga? Sì, ma perché lo fa con la decisiva aggravante di essere un poveraccio, visibilmente ammalato, menomato, tanto che non si sa bene se parte delle ferite visibili sul suo corpo se le sia procurate "cadendo dalle scale".

La vera colpa di Stefano Cucchi è di essere un ammalato, un rottame umano che vaga per la grande città. Nella stessa città una moltitudine di cittadini rispettosi dell'ordine e con posti di alta responsabilità sociale si drogano ma non spacciano, non cadono per le scale, non oppongono resistenza ai poliziotti.

Normalmente diresti che la differenza è inesistente, che tutti violano il dovere di essere socialmente responsabili, socialmente capaci di intendere e di volere, ma socialmente le cose stanno in modo radicalmente diverso: i cittadini non sono uguali davanti alla legge come dicono le costituzioni, la società si divide fra i ricchi di denaro e di conoscenze, cui è lecito truffare il prossimo con la finanza, con l'industria, con informazione, con la medicina, e con quasi tutte le umane professioni, e quelli che per truffe minori e moralmente tollerabili come il furto per fame, vengono lapidati come Cucchi.

Il dilemma sociale vero, quello che può decidere sulla libertà o sulla servitù della società futura è questo: democrazia autoritaria a favore dei ricchi e sapienti e a spese dei poveri e ignoranti, o democrazia dei diritti e dei doveri garantita dalle leggi? Il caso può fornire dei suggerimenti. In pratica come era possibile risolverlo evitando il tragico epilogo? I poliziotti che lo conoscevano potevano fare a meno di arrestarlo per la detenzione di una piccola quantità di droga proprio nei giorni in cui su tutti i giornali si legge che fanno uso di droga parecchi delegati del popolo al governo della nazione. Comportarsi insomma come con l'immigrazione irregolare delle badanti e degli operai, su cui si sono chiusi entrambi gli occhi perché faceva comodo sia al nostro benessere che alla nostra economia. Ma come non vedere che alla base di questi compromessi, di queste eccezioni alla severità e al rigore c'è una crescente pressione della parte povera e diseredata? E che questa crescente pressione potrebbe tradursi negli anni a venire, prima nella democrazia autoritaria già in corso e tacitamente approvata dalla maggioranza benestante del paese, e poi nella semplificazione feroce delle dittature nelle quali i poveri e riottosi venivano lasciati o fatti morire?

Come non vedere che a due decenni dalla caduta del muro di Berlino si profilano altri muri di separazioni coercitive? Il banchiere Cuccia era solito dire che le azioni della società "non si misurano a numeri, ma a peso". Ed è così, e di quasi tutto ciò che conta nella nostra vita: denaro come giustizia, salute, bellezza, libertà. La soluzione autoritaria e magari schiavista è la più semplice, la più risolutiva in apparenza. Simile alla celebre frase di Tacito: "E dove fanno il deserto lo chiamano pace". La dittatura nessuno la auspica e la vuole, a parole, ma in molti la preparano, giorno per giorno, approvando, spalleggiando ogni giorno ciò che svuota la democrazia, aggiungendovi ogni giorno qualcosa che la limita. Il passaggio dall'autoritarismo al terrore si annuncia in modi disparati, apparentemente disparati. Oggi è il drogato ucciso a percosse, domani il barbone bruciato vivo, la donna con le mani tagliate, che sembrano non lasciare traccia. Ma la lasciano, lasciano l'ostilità alle leggi, l'avversione ai diritti umani, l'ignoranza dei doveri. Per definire il colonialismo Mussolini diceva che era il nostro "mal d'Africa". Ma quanti sono in Italia quelli che ancora soffrono del "male autoritario"?  (La Repubblica, 12 novembre 2009)

Monday, November 9, 2009

Crocifissi nelle aule e veri cristiani (di Alessio Ponz de Leon & C.)


Dedicata da un laico a tutti i veri cristiani, che si reputano tali perché difendono a spada tratta il crocifisso nelle aule scolastiche, ma che vogliono vedere affondare le barche cariche di immigrati clandestini, che picchiano gli omosessuali perché sono diversi, che detestano i mendicanti e chi lava i parabrezza per strada, che odiano i nomadi e ne devastano i campi, che detestano i colori della pelle diversi dalla propria. .

Dal Vangelo secondo S. Matteo – Il giudizio finale
“Quando verrà il Figlio dell’uomo nella sua maestà, con tutti gli Angeli, si assiderà sul trono della sua gloria. E tutte le nazioni saranno radunate davanti a lui, ma egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che sono alla sua destra: Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi sino dalla creazione del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui pellegrino e mi albergaste; ero nudo e mi rivestiste; infermo e mi visitaste; carcerato e veniste a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti vedemmo affamato e ti demmo ristoro; assetato e ti demmo da bere ? Quando ti vedemmo pellegrino e ti alloggiammo, o nudo e ti rivestimmo ? Quando ti vedemmo infermo o carcerato e siamo venuti a visitarti ? E il re risponderà loro: In verità vi dico: ogni volta che voi avete fatto queste cose a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatta a me.

Infine dirà anche a quelli che saranno alla sua sinistra: Andate lontano da me, voi maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per gli angeli suoi. Perché ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere; fui pellegrino e non mi albergaste; nudo e non mi rivestiste; infermo e carcerato e non mi visitaste. Allora anche questi gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato, o pellegrino, o nudo, o infermo, o carcerato, e non t’abbiamo assistito ? Ma egli risponderà loro: In verità vi dico: qualunque cosa non avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, non l’avete fatta a me. E costoro andranno all’eterno supplizio, i giusti invece alla vita eterna”. (Alessio Ponz de Leon & C., per il suo Blog)

Sunday, November 8, 2009

Nella "buca degli afgani" senza più dignità (di Carlo Ciavoni)

In attesa dell'asilo politico che non arriva mai


ROMA - E' incrociando i loro sguardi, smarriti, disperati, o anche avvicinandosi alle baracche in mezzo al fango, fatte di coperte, cartoni e pezzi di legno, che si intuisce come questi 100-150 giovani afgani, rifugiati in uno scavo per le fondamenta di un edificio in via Capitan Bavastro all'Ostiense, siano le prime vittime di un corto circuito tra il fenomeno planetario delle migrazioni e l'angusta politica del governo italiano, in evidente rotta di collisione con le direttive europee e la Costituzione italiana.

Mille storie di uomini che sembrano aver perso la dignità, s'intrecciano nel "villaggio afgano", a poco più di un chilometro dal Colosseo e dal Campidoglio, tutte accomunate da un solo destino: quello di essere cacciati. Un rischio soprattutto per i circa 80 rifugiati in transito all'Ostiense, che vogliono proseguire il loro viaggio - costato già migliaia di euro, preda di "avvoltoi" di tutte le specie - per raggiungere altri paesei europei.
Rischiano perché non si sono fatti censire dal Comune, per una scelta legittima, ma imposta dal trattato di Dublino del 1990, un accordo internazionale che sancisce il principio secondo il quale, un rifugiato accolto in uno dei paesi UE, se poi decide di andare in un'altra nazione europea, viene subito rimandato dove è stato censito la prima volta.
Per tutti gli altri - circa 60 - che scelgono invece di farsi censire, l'assessore alle politiche sociali del Campidoglio, Sveva Belviso, garantisce l'accoglienza al CARA (il centro di accoglienza dei richiedenti asilo) della Croce Rossa a Castelnuovo di Porto, a Nord di Roma. "Al di là della disponibilità del Comune di Roma - dice Alberto Barbieri di Medici per i diritti umani, da anni impegnati nell'assistenza degli afghani - manca un passaggio decisivo: la possibilità di accogliere civilmente e dignitosamente anche le persone solo in transito".
"Una condizione - aggiunge il dottor Barbieri - che deve certamente essere regolata da norme precise e tempi di permanenza certi, ma in sistemazioni che, per quanto brevi e temporanee, devono essere decorose e igienicamente accettabili".
I residenti della "buca dell'Ostiense" si chiamano Habib, Mohamed, si chiamano Kaihan, oppure Esfandyan. Raccontano storie incredibili di violenze dalle quali sono fuggiti e alle quali, piuttosto che riviverle, preferiscono le indecenze, la miseria e le insicurezze che provano qui. Sono solo uomini, giovanissimi, alcuni minorenni, tutti musulmani. Li si vede pregare anche cinque volte al giorno, come i più ortodossi di loro fanno. Per le abluzioni rituali prima di inginocchiarsi verso la Mecca, si arrangiano a farle alla fontanella vicina alla ferrovia.
Già, la ferrovia. A meno di cento metri dalla "Buca degli afgani" corrono i binari della stazione Ostiense, dove altre baracche di cartone, altri tuguri indecenti ospitano etnie diverse dai Pashtun, concentrati tutti nella "buca", il luogo forse ritenuto più comodo da questo gruppo egemone in patria, ed evidentemente anche in esilio. Nei piccoli "quartieri satellite" lungo la ferrovia ci sono gruppetti di Azara, Uzbeki, Tagiki, Turkmeni.

"Sono arrivato in Italia da quattro giorni.... non mi chieda come ho fatto... ma domani salgo sul primo treno che va verso Ventimiglia e me ne vado", dice Faharan, 24 anni, reduce da un'iniezione intramuscolare che s'è fatto fare nel camper di Medici per i diritti umani.
Quello che sta succedendo nella "buca" dell'Ostiense è un pugno nello stomaco nel bel mezzo di un quartiere di una capitale europea. Accettato da molti, che hanno regalato tende e coperte, ma anche appena sopportato da tanti altri del quartiere. Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato per i Rifugiati dell'Onu, commenta: "Non è che il risultato della scelta politica delle pubbliche autorità di non investire di più sulla prima accoglienza, che permetterebbe ai rifugiati di camminare con le proprie gambe, senza rimanere a lungo in stato di dipendenza e di incertezza. Soprattutto senza che si creino situazioni di degrado come queste".
La Boldrini ricorda poi il percorso accidentato delle norme che in Italia regolano il riconoscimento di asilo politico. "La Bossi-Fini nel 2004 introduce il concetto secondo il quale se ad un rifugiato viene negato l'asilo politico, lui se ne deve andare subito, senza aspettare l'esito di un riesame della sua richiesta".

"Concetto, questo, cancellato nel 2006 dal governo Prodi, che riammetteva la possibilità per il richiedente di aspettare in Italia il secondo grado. Nel 2008, infine, con il 'pacchetto sicurezza', si pongono limiti ferrei che, di fatto e con poche eccezioni, non mettono in condizione chi fugge da guerre, violenze, soprusi, negazione di diritti umani o calamità naturali, anche semplicemente di avanzare la richiesta di asilo". (La Repubblica, 8 novembre 2009)

Saturday, November 7, 2009

Veline e donne siliconate (di Alessio Ponz de Leon)

Chi, come me, ha già qualche annetto sulle spalle, senza dubbio si ricorderà cosa si identificava una volta con la parola “velina”. Era una carta finissima, diafana e trasparente, con la quale, da bambini, ci si divertiva a ricalcare immagini e fotografie con la matita. Ne venivano fuori ingenui disegni, copie sbiadite e approssimative dell’immagine originale.

Oggi la parola velina è diventata sinonimo di una ragazzotta sculettante dalle forme avvenenti, che si agita e fa le moine davanti ad una telecamera, con gli occhi sempre rivolti all’obiettivo, nella speranza che qualcuno la noti e le proponga una particina in un film di infima qualità o in qualche inutile programma televisivo.

Ma in fin dei conti, oltre alla circostanza di essere graziose, di indossare adamitici costumini, saper ruotare le braccia, sculettare e fare moine accattivanti, cos’altro sanno fare le veline ? Assolutamente nulla, sono solo copie sbiadite e senza talento di altre donne che lavorano con vera professionalità nel mondo dello spettacolo. Eppure diventare una velina sembra essere diventata, oggi, la più grande aspirazione di tante ragazze ambiziose e, ancor più, di molti genitori.

Una volta c’erano le “soubrettes”, che riempivano con il loro talento e la loro professionalità gli schermi in bianco e nero dei vecchi televisori. Ne ricordo alcune, come Delia Scala, Caterina Valente, Lauretta Masiero, Marisa Del Frate. Erano donne belle, affascinanti, aggraziate e piene di talento. Sapevano ballare, cantare e recitare e non avevano alcun bisogno di mostrare seni e natiche per essere apprezzate dal pubblico. E, soprattutto, non avevano paura della loro età. Accoglievano con rassegnazione e dignità i cambiamenti indotti dal trascorrere inesorabile del tempo e, una volta terminata la loro stagione, si mettevano semplicemente da parte.

Oggi in televisione vediamo donne che, piuttosto che rassegnarsi all’idea che il tempo non si possa fermare, preferiscono assomigliare a zombi usciti dal film “La notte dei morti viventi”; nasini tutti uguali, artefatti e improbabili, simili a quelli dei cadaveri di una sala settoria; tettone gommose che sfidano tutte le leggi fisiche, prima fra tutte quella di gravità; labbroni siliconati, mostruosamente gonfi, come fossero stati punti da uno sciame di calabroni inferociti. Solo l’idea di baciare una di quelle bocche mette i brividi lungo la schiena.

Ma davvero ci sono uomini ai quali piacciono donne del genere ? Ai quali piace baciare un labbrone finto e freddo e toccare un seno di plastica che sembra il Flubber del film di Walt Disney o la trombetta di una macchina d’epoca ? Deve essere indubbiamente così, se sempre più donne, anche giovanissime, si sottopongono a questo massacro.

Mi vengono in mente le parole che Anna Magnani rivolse ad un truccatore il quale, durante le riprese di un film, voleva nasconderle le rughe del viso. Gli disse: “Lasciamele tutte, ci ho messo una vita a farle”. Che donna ragazzi. (Alessio Ponz de Leon per il suo Blog).

Wednesday, November 4, 2009

Ku Klux Klan in Italia, l'ultima follia



Lanciano "un appello" a chiunque, in Italia, voglia difendere "la stirpe bianca", perché "l'uomo bianco non è mai libero di esercitare il proprio potere nelle proprie terre e nazioni". L'ombra del Ku Klux Klan (KKK), che, in America, riunisce xenofobi e razzisti nascosti dietro al tradizionale cappuccio bianco o colorato, si allunga anche sul nostro Paese, dove è stato fondato un "reame d'Italia". Ad animarlo, è il movimento degli "United northern and southern knights of the KKK" (l'acronimo è Unsk), la più importante ramificazione americana del Ku Klux Klan, con il suo quartier generale a Fraser, nel Michigan.

Già nel 2007, il KKK mosse i suoi primi passi in Europa, con il primo "reame ufficiale". Dopo una serie di liti interne al movimento, questo venne sciolto. Fu allora che gli iscritti, prevalentemente italiani e tedeschi, si rivolsero agli United northern and southern knights (costituiti nel 2005 su impulso di un iscritto al KKK), per chiedere di essere ammessi al loro direttivo. "Dopo una breve trattativa - viene spiegato su un forum neonazista italiano, che li celebra - si decise di creare un Klan europeo parallelo e fraterno a quello americano. Questo venne convalidato e ufficialmente riconosciuto nel resto del mondo nell'agosto del 2008". A oggi, oltre alle sedi in 29 stati americani, al reame italiano, ne esiste uno tedesco, uno in Belgio e nel Regno Unito. Anche se, avvisano, "contiamo di espanderci ulteriormente nei prossimi mesi". Il coordinamento europeo è affidato a quello che viene definito "Reich" tedesco. Ogni singolo reame è autonomo, ma risponde al coordinamento europeo, che a sua volta riferisce alla casa-madre nel Michigan. Quest'anno hanno già avuto luogo due "vertici", tra i direttivi europei e quelli americani.

Nella sezione italiana del loro sito, si annuncia "l'apertura delle iscrizioni" e si lancia un appello ad aderire al movimento: "Se siete uomini o donne patrioti bianchi e ritenete di volervi impegnare per la vostra stirpe e per le generazioni future, se ne avete abbastanza di vedere la nostra discendenza, i nostri diritti e il nostro futuro calpestati e gettati via, se volete mettere fine a questo scempio, saremo felici di avervi con noi e di ascoltarvi. Aderisci alla lotta e salva i tuoi diritti quale cittadino bianco e cristiano. Riprendiamoci quello che ci è stato tolto e diamo ai nostri figli il futuro che meritano".

Per aderire bisogna compilare un modulo, allegando foto a colori e copia di un documento: l'accettazione ufficiale arriverà dopo il superamento di un periodo di osservazione di 12 mesi. All'atto dell'iscrizione si riceve il cosiddetto "libretto del periodo di prova".

La filosofia ricalca quella razzista dei "fratelli" americani: lotta e contrasto a "neri, immigrati, omosessuali" ma anche "ebrei", per dar vita ad uno Stato "bianco e cristiano". Agli ebrei, ad esempio, è tassativamente vietata l'iscrizione al movimento, perché ai Klansmen (come vengono definiti gli iscritti), interessano "solo i cristiani bianchi". "Siamo fedeli ai principi del Ku Klux Klan, fondato nel 1865", dicono nella sezione italiana del loro blog, e parlano di una "sacra missione". Una missione che può essere così sintetizzata: "La lotta per la nostra stirpe è esigente e la vittoria può essere raggiunta soltanto con dedizione e lealtà. Il nostro obiettivo è semplice ma forte, conservare il cristiano bianco, i suoi ideali e le sue tradizioni. Siamo qui per guidare i nostri fratelli e le nostre sorelle bianche e ristabilire l'ordine in questa società collassata".

Secondo questi razzisti incappucciati, che si definiscono "nazionalisti fieri di essere italiani", oggi "si parla molto di orgoglio nero, orgoglio ebraico, orgoglio ispanico e addirittura di orgoglio gay", mentre "esiste solo un segmento maggioritario della popolazione che non viene incoraggiato ad essere orgogliosa della propria discendenza e delle conquiste dei suoi avi. Quel gruppo etnico è la razza bianca". E via con una serie di considerazioni sui principi della superiorità della razza, alla base del credo neonazista: "Al fine di poter essere mentalmente sano, un individuo necessita di una chiara identità e consapevolezza del proprio valore e affinché la nostra razza tutta possa essere forte e in salute le genti bianche di ogni dove devono sviluppare un senso di identità e valore razziale. Quindi acquisite orgoglio nella vostra razza".

Come diffondere i principi xenofobi del KKK in Italia? Sono loro stessi a spiegarlo: "Data la natura storica pressoché sconosciuta della nostra associazione, il nostro primo obiettivo è quello di far giungere il nostro vero messaggio ai bravi cittadini italiani. Questo avverrà sotto forma di volantinaggi in luoghi, spazi e modi leciti secondo la legge italiana e tramite web (forum, siti, blog, e-mail)". E, nell'ottica di questa propaganda via web, la sezione americana sta già provvedendo da tempo a inserire su Youtube i video con le loro cerimonie - inclusa quella nel corso della quale si brucia la croce.

Duri attacchi vengono rivolti anche ai gay, "colpevoli" della crisi della nostra società: "L'omosessualità è irresponsabilità senza vergogna. E' inutile negare che da quando è uscita dall'armadio è iniziata la crisi di salute della società. Gli omosessuali aggiungono una difficoltà tremenda al costo della sanità. Rifiutano di essere ragione di questa difficoltà, preferendo protestare per i benefici di governo invece di cambiare il loro comportamento, cioè pagando per i loro peccati".

Il cappuccio bianco che indossano serve a "tutelare il lavoro e la tranquilla vita quotidiana" degli iscritti: "Noi non desideriamo che i nostri membri cadano vittima di persecuzioni, aggressioni o discriminazioni", spiegano, non nascondendo il timore verso "taluni personaggi e associazioni di sinistra" che potrebbero crear loro problemi. Cercando di anticipare quanti chiedono la loro messa al bando, rispondono con una domanda: "Dicono che i Klansmen dovrebbero essere espulsi dai loro posti di lavoro militari, nella polizia, nei vigili del fuoco e da tutte le forme elette di governo. Se un Klansman dovrebbe essere licenziato dal proprio posto di lavoro perché il Klan storicamente uccise dei neri allora non sarebbe forse sensato che anche un nero lo sia poiché essi hanno maggiore attitudine all'uccidersi a vicenda più di quanto ne possa avere un Klansman?".
(La Repubblica, 2 novembre 2009)

Sunday, November 1, 2009

Le centinaia di Ceppaloni che l'Italia non vuol vedere (di Curzio Maltese)


Le telecamere di Mediaset puntate come l'arma di un cecchino sul giudice Mesiano non testimoniano solo l'onestà dell'uomo: uno che si mette in fila e si veste ai grandi magazzini, come di sicuro non fanno i magistrati corrotti con i conti nei paradisi fiscali. Rivelano anche, operazioni come questa, la totale malafede della guerra ai magistrati combattuta da quindici anni sotto le bandiere dell'ideologia. Quello cui abbiamo assistito in Italia è una caccia alle guardie promossa dai ladroni. E mi rifiuto di credere che gli italiani siano tanto stupidi da non averlo capito.
La questione è: perchè continuano a votare i ladri ? Non soltanto i ladri di destra, anche quelli di sinistra. Per la stessa ragione per cui si votavano i ladroni della Prima Repubblica, ben sapendo chi erano e che cosa facevano. Per cinismo e convenienza. Chi votata Craxi a Milano era il primo a ridere delle barzellette sui socialisti arruffoni. Ma intanto i governi del pentapartito davano tutto a tutti, lanciavano messaggi alla borghesia predatrice: finché ci siamo noi, sarete liberi di arrangiarvi come avete sempre fatto. Dopo una stagione lampo di moralismo, si è ricominciato come e peggio di prima. Il berlusconismo garantisce il perdono, il condono, il rinvio all'infinito della lotta al malaffare, alle mafie, all'evasione fiscale. Chi si oppone è un comunista, una toga rossa, uno "stravagante". A milioni di italiani va bene così. Fingono di credere alla favola della persecuzione politica. Si lagnano della casta politica, urlano contro le mazzette, i raccomandati, la vergogna della peggior corruzione del mondo. Sono pronti a linciare quelli che si fanno beccare. Ma fino al giorno prima facevano affari con loro. Non c'era bisogno degli arresti in Lombardia e in Campania per capire che l'Italia è disseminata di centinaia di Ceppaloni dove per trovare un lavoro, un appalto, una consulenza occorre passare dal clan politico locale. Lo sanno, lo sappiamo tutti.
La corruzione è l'origine di tutte le anomalie italiane. Ma se resiste è perchè, al di là delle recite, conviene a troppi. E allora smettiamola di fingere e diciamo apertamente che la corruzione politica non solo non indigna, ma anzi identifica un pezzo d'Italia con la sua classe dirigente. Si voti un referendum per depenalizzare il reato di corruzione dei politici. Sarebbe più onesto e sincero che aspettare l'approvazione della nuova immunità in Parlamento, con i voti della destra e i soliti assenti ingiustificati della sinistra. (Curzio Maltese, il venerdi di Repubblica, 30 ottobre 2009).