Tuesday, October 13, 2009

La rivolta indigena è in tutto il mondo

Dal Perù alla Nigeria, dall'Equador alla West Papua, le popolazioni native si battono per impedire che le multinazionali sfruttino le risorse naturali. Un saggio del giornalista John Vidal sul quotidiano inglese "The Guardian".


E' stata definita la seconda "guerra mondiale del petrolio", ma l'unica cosa in comune tra l'Iraq e quello che è successo nel nord del Perù nelle ultime settimane è la disparità delle forze in campo. Da un lato la polizia peruviana con armi automatiche, gas lacrimogeni, elicotteri da guerra e camionette blindate. Dall'altro alcune migliaia di awajun e wambis con il corpo dipinto, armati di archi, frecce e lance.

All'inizio di giugno gli indigeni hanno scatenato una delle più grandi e violente proteste della storia recente del Perù. Un avvertimento non solo per Lima, ma anche per tutti gli altri governi dell'America Latina : è quello che potrebbe succedere se le aziende dovessero avere libero accesso al petrolio e al legname dell'Amazzonia. Il 5 giugno la polizia ha cercato di rimuovere un blocco stradale dei nativi vicino Bagua Grande. Sono cominciati subito gli scontri che hanno portato, secondo fonti non governative, alla morte di almeno cinquanta indigeni e di nove agenti di polizia. L'Ong Survival International ha parlato di una Tienanmen peruviana. "Gestiamo le foreste dell'Amazzonia da migliaia di anni", spiega Servando Puerta, uno dei leader delle proteste. "Questo è genocidio. Ci stanno uccidendo perchè difediamo la nostra vita, la nostra sovranità, la nostra dignità umana".

Ma il Perù non è l'unico Paese in cui c'è un conflitto tra il Governo e gli indigeni per lo sfruttamento delle risorse naturali. Negli ultimi anni ci sono state proteste in Africa, America Latina, Asia e Nordamerica. Dighe per le centrali idroelettriche, piantagioni per la produzione di biocarburanti, miniere di carbone, rame, oro e bauxite : sono tutte al centro di dispute sulla terra.

In Nigeria un'imponente forza militare continua ad aggredire le comunità che si oppongono alla presenza delle società petrolifere nel delta del Niger. Il delta, che fornisce il 90% delle entrate dall'estero, è sempre stato una regione instabile. Di recente, però, le armi nella regione sono aumentate notevolmente, e la situazione è peggiorata. Negli ultimi mesi sono stati colpiti dei villaggi sospettati di nascondere gruppi di ribelli. Migliaia di persone sono fuggite. Gli attivisti del movimento per l'emancipazione del delta del Niger (Mend) hanno risposto uccidendo dodici soldati e incendiando un complesso della compagnia petrolifera Chevron.

Nel frattempo in West Papuasia, nelle parte ovest della Nuova Guinea, le forze indonesiane che proteggono alcune delle più grandi miniere del mondo sono state accusate di violazioni dei diritti umani. Negli ultimi anni, negli scontri con l'esercito, sono morti centinaia di membri delle tribù indigene.

"E' in corso una violenta offensiva per sfruttare i territori indigeni", spiega Victoria Tauli-Corpus, nativa filippina e presidente del forum permanente delle Nazioni Unite sui temi degli indigeni. "C'è una crisi dei diritti umani. Gli arresti, le uccisioni e gli abusi sono sempre di più. Sta succedendo in Russia, Canada, Filippine, Cambogia, Mongolia, Nigeria, America Latina, Papua Nuova Guinea e Africa. E' in corso una battaglia per le risorse naturali in tutto il mondo. Gran parte delle materie prime - petrolio, gas, legno, minerali - si trova nelle terre occupate da popolazioni indigene". Appoggiate dai governi, le aziende si spingono in profondità in terre finora ignorate perchè considerate improduttive o selvagge. Nei prossimi anni, per rilanciare l'economia globale, i governi e la Banca Mondiale aumenteranno i loro investimenti in importanti progetti infrastrutturali. E questo moltiplicherà i conflitti.

Secondo gli indigeni, l'estrazione mineraria su larga scala è il fenomeno più dannoso. Clare Short, ex segretario britannico allo sviluppo internazionale e ora presidente del gruppo di lavoro sull'estrazione mineraria nelle Filippine, sostiene che da quando Manila ha aperto le porte alle multinazionali dell'estrazione mineraria, dieci anni fa, le comunità indigene sono state distrutte. Nel 2007 Short ha visitato le comunità filippine. Nel suo rapporto ha scritto :"Non ho mai visto nulla di così sistematicamente distruttivo. Gli effetti sull'ambiente e sulla vita della gente sono catastrofici. Si rimuovono le cime delle montagne (considerate sacre dai nativi) e si distruggono le fonti idriche, rendendo impossibile l'agricoltura".

In un rapporto pubblicato all'inizio del 2009, il gruppo commentava: "L'attività mineraria genera o aggrava la corruzione, alimenta i conflitti armati, aumenta la militarizzazione e le violazioni dei diritti umani". (...). (Internazionale, n.802 del 3/9 luglio 2009).

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