Sunday, November 8, 2009

Nella "buca degli afgani" senza più dignità (di Carlo Ciavoni)

In attesa dell'asilo politico che non arriva mai


ROMA - E' incrociando i loro sguardi, smarriti, disperati, o anche avvicinandosi alle baracche in mezzo al fango, fatte di coperte, cartoni e pezzi di legno, che si intuisce come questi 100-150 giovani afgani, rifugiati in uno scavo per le fondamenta di un edificio in via Capitan Bavastro all'Ostiense, siano le prime vittime di un corto circuito tra il fenomeno planetario delle migrazioni e l'angusta politica del governo italiano, in evidente rotta di collisione con le direttive europee e la Costituzione italiana.

Mille storie di uomini che sembrano aver perso la dignità, s'intrecciano nel "villaggio afgano", a poco più di un chilometro dal Colosseo e dal Campidoglio, tutte accomunate da un solo destino: quello di essere cacciati. Un rischio soprattutto per i circa 80 rifugiati in transito all'Ostiense, che vogliono proseguire il loro viaggio - costato già migliaia di euro, preda di "avvoltoi" di tutte le specie - per raggiungere altri paesei europei.
Rischiano perché non si sono fatti censire dal Comune, per una scelta legittima, ma imposta dal trattato di Dublino del 1990, un accordo internazionale che sancisce il principio secondo il quale, un rifugiato accolto in uno dei paesi UE, se poi decide di andare in un'altra nazione europea, viene subito rimandato dove è stato censito la prima volta.
Per tutti gli altri - circa 60 - che scelgono invece di farsi censire, l'assessore alle politiche sociali del Campidoglio, Sveva Belviso, garantisce l'accoglienza al CARA (il centro di accoglienza dei richiedenti asilo) della Croce Rossa a Castelnuovo di Porto, a Nord di Roma. "Al di là della disponibilità del Comune di Roma - dice Alberto Barbieri di Medici per i diritti umani, da anni impegnati nell'assistenza degli afghani - manca un passaggio decisivo: la possibilità di accogliere civilmente e dignitosamente anche le persone solo in transito".
"Una condizione - aggiunge il dottor Barbieri - che deve certamente essere regolata da norme precise e tempi di permanenza certi, ma in sistemazioni che, per quanto brevi e temporanee, devono essere decorose e igienicamente accettabili".
I residenti della "buca dell'Ostiense" si chiamano Habib, Mohamed, si chiamano Kaihan, oppure Esfandyan. Raccontano storie incredibili di violenze dalle quali sono fuggiti e alle quali, piuttosto che riviverle, preferiscono le indecenze, la miseria e le insicurezze che provano qui. Sono solo uomini, giovanissimi, alcuni minorenni, tutti musulmani. Li si vede pregare anche cinque volte al giorno, come i più ortodossi di loro fanno. Per le abluzioni rituali prima di inginocchiarsi verso la Mecca, si arrangiano a farle alla fontanella vicina alla ferrovia.
Già, la ferrovia. A meno di cento metri dalla "Buca degli afgani" corrono i binari della stazione Ostiense, dove altre baracche di cartone, altri tuguri indecenti ospitano etnie diverse dai Pashtun, concentrati tutti nella "buca", il luogo forse ritenuto più comodo da questo gruppo egemone in patria, ed evidentemente anche in esilio. Nei piccoli "quartieri satellite" lungo la ferrovia ci sono gruppetti di Azara, Uzbeki, Tagiki, Turkmeni.

"Sono arrivato in Italia da quattro giorni.... non mi chieda come ho fatto... ma domani salgo sul primo treno che va verso Ventimiglia e me ne vado", dice Faharan, 24 anni, reduce da un'iniezione intramuscolare che s'è fatto fare nel camper di Medici per i diritti umani.
Quello che sta succedendo nella "buca" dell'Ostiense è un pugno nello stomaco nel bel mezzo di un quartiere di una capitale europea. Accettato da molti, che hanno regalato tende e coperte, ma anche appena sopportato da tanti altri del quartiere. Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato per i Rifugiati dell'Onu, commenta: "Non è che il risultato della scelta politica delle pubbliche autorità di non investire di più sulla prima accoglienza, che permetterebbe ai rifugiati di camminare con le proprie gambe, senza rimanere a lungo in stato di dipendenza e di incertezza. Soprattutto senza che si creino situazioni di degrado come queste".
La Boldrini ricorda poi il percorso accidentato delle norme che in Italia regolano il riconoscimento di asilo politico. "La Bossi-Fini nel 2004 introduce il concetto secondo il quale se ad un rifugiato viene negato l'asilo politico, lui se ne deve andare subito, senza aspettare l'esito di un riesame della sua richiesta".

"Concetto, questo, cancellato nel 2006 dal governo Prodi, che riammetteva la possibilità per il richiedente di aspettare in Italia il secondo grado. Nel 2008, infine, con il 'pacchetto sicurezza', si pongono limiti ferrei che, di fatto e con poche eccezioni, non mettono in condizione chi fugge da guerre, violenze, soprusi, negazione di diritti umani o calamità naturali, anche semplicemente di avanzare la richiesta di asilo". (La Repubblica, 8 novembre 2009)

No comments:

Post a Comment